Il governo israeliano riduce il rifornimento di gasolio alla Striscia di Gaza a soli due autocisterne al giorno, rispetto ai precedenti 7 milioni di litri a settimana. Questa decisione sta mettendo a rischio il sistema di ripulitura del sistema fognario e aumentando il rischio diffusione di malattie nel sud della Striscia di Gaza, dove 1,5 milioni di sfollati vivono su una popolazione totale di 2,2 milioni.
Nonostante la necessità di questa quantità minima di gasolio, l’ultradestra al governo guidata da Benjamin Netanyahu protesta contro questa decisione, affermando che il governo sta portando il paese nella direzione sbagliata. Inoltre, sorgono dubbi sulla concessione di aiuti umanitari a nemici quando gli ostaggi non possono ricevere visite dalla Croce Rossa Internazionale.
I coloni israeliani chiedono di partecipare alle riunioni che decidono il conflitto e di estendere all’Autorità Palestinese il trattamento riservato a Gaza. Tuttavia, il presidente Abu Mazen è considerato un bersaglio da eliminare, allo stesso modo di Yahia Sinwar, il capo di Hamas.
Le operazioni militari continuano con l’esercito israeliano che entra a Jenin e si verificano scontri con vittime palestinesi. Nonostante ciò, il ministro della Difesa promette che alcuni abitanti dei kibbutz e delle cittadine devastate potranno tornare nelle loro case tra qualche mese.
Netanyahu sta già discutendo con la Casa Bianca sulla gestione della ricostruzione post-guerra, stimando che ci vorranno 5 anni per completarla. Nel frattempo, le truppe israeliane intensificano i bombardamenti su Khan Yunis e Rafah e lanciano razzi su Tel Aviv.
L’invasione israeliana continua, con operazioni che coinvolgono anche l’ospedale Al Shifa, visto dai militari come quartier generale dei fondamentalisti. La situazione nella Striscia di Gaza rimane tesa e incerta, con la popolazione che continua a subire le conseguenze degli scontri e delle violenze in corso.
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